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AMIRA

 

SABATO 03/6
► ORE 12.55

 

PROIEZIONI VOS ARABO SOTTOTITOLATE IN ITALIANO

 

● PREMIO DALLA GIURIA ECUMENICA INTERFILM VENEZIA 2021

● PREMIO LANTERNA MAGICA VENEZIA 2021

● PREMIO AMNESTY INTERNATIONAL MED FILM FESTIVAL 2021

 

PRIMA VISIONE IN ESCLUSIVA 
 
Regia: Mohamed Diab
Attori: Saba Mubarak - Warda, Ali Suliman - Nuwar, Tara Abboud - Amira, Waleed Zuaiter - Said, Ziad Bakri - Basel, Suhaib Nashwan - Ziad, Reem Talhami - Nonna
Soggetto: Mohamed Diab
Sceneggiatura: Mohamed Diab, Khaled Diab, Sherin Diab
Fotografia: Ahmed Gabr
Musiche: Khaled Dhager
Montaggio: Ahmed Hafez
Scenografia: Nael Kanj
Arredamento: Karim Kheir
Costumi: Hamada Atallah
Suono: Julien Perez - supervisione, Alexis Durand - sound design
Durata: 98
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: SCOPE, DCP
Produzione: MOHAMED HEFZY, MOEZ MASOUD, MONA ABDEL WAHAB, HANY ABU ASSAD, AMIRA DIAB, SARAH GOHER PER FILM-CLINIC, AGORA AUDIOVISUALS, ACAMEDIA PICTURES, IN COPRODUZIONE CON AL TAHER MEDIA PRODUCTION, THE IMAGINARIUM FILMS
Distribuzione Cineclub Internazionale
 
 

Amira, una diciassettenne palestinese, è stata concepita con il seme di Nawar, trafugato dalla prigione nella quale egli è recluso. Sebbene sin dalla sua nascita il loro rapporto si sia limitato esclusivamente alle visite in carcere, il padre rimane il suo eroe. L’assenza nella vita della ragazza è però ampiamente compensata dall’amore e dall’affetto di coloro che la circondano. Tuttavia, quando il tentativo fallito di concepire un altro bambino porta a galla la sterilità di Nawar, il mondo di Amira viene stravolto...

 

"MOHAMED DIAB PROPONE UNA RIFLESSIONE SUL SENSO DELLA VITA E DELL'APPARTENENZA NEI TERRITORI PALESTINESI"
(MYmovies)
 
"Amira è un film bellissimo, che ha il pregio di servirsi di una sceneggiatura, una regia e attori perfettamente armonizzati e ispirati. Questo permette all’opera di presentare una vicenda reale poco conosciuta e denunciare al tempo stesso le violazioni dei diritti umani perpetrate dalle istituzioni o dovute a sistemi tradizionali misogini e discriminatori. Ma anche di generare, ed è un altro dei meriti di questo film, una riflessione più intima e profonda, e più universale, sulla propria formazione ed evoluzione come esseri umani, sulle scelte che condizionano la vita, sulla libertà autentica di tali scelte”.
(Motivazione al premio di Amnesty International al Med Film Festival 2021)
 
"È una società moderna e relativamente laica quella palestinese raccontata da Mohamed Diab nel film, basata su ricerche e sulle conoscenze dirette del regista, che ha voluto un cast, e un produttore, palestinesi. Una società ben diversa dall’immagine del fondamentalismo religioso imperante che ci arriva. La città dove è ambientato il film, un generico centro abitato palestinese, sembra una comune città araba se non fosse per i poster dei martiri che campeggiano sui muri. Amira e i suoi concittadini usano dispositivi elettronici comuni a tutto il mondo industrializzato. E, nell’impossibilità di una riunificazione familiare fisica, arriva photoshop a sopperire permettendo di spostare i vari familiari e raggrupparli in un’unica, virtuale, fotografia. La fotografia, e in generale i mezzi di registrazione della realtà, in una storia dove la realtà si rivelerà come estremamente labile, appaiono fondamentali surrogati di una vita monca, fatta di privazioni. Il matrimonio celebrato in contumacia dello sposo, presente solo con suoi ritratti fotografici, e poi il tutto videoregistrato. E la cancellazione involontaria di quel tape, per registrarvi dei cartoni animati, appare cosa grave, come una cancellazione della memoria. Mediante la giustapposizione, fisica e poi sullo schermo di un laptop, ingrandita, della sua immagine fotografica con quella dell’insegnante, Amira si convince che questi sia il suo genitore biologico.

Cruciale poi nella delineazione della Palestina contemporanea è la descrizione della condizione femminile, già chiara nel momento in cui la madre non viene interpellata per stabilire il nome del nascituro, che anzi rientra in una logica di continuità patriarcale. Amira è una donna forte, come sua madre che, nelle sue scappatelle extraconiugali rivendica come un diritto alla femminilità, lei che è come prigioniera in un matrimonio con un prigioniero in un contesto dove tutti sono prigionieri. E così per il concepimento rivendica almeno un abbozzo di sessualità in un amplesso telefonico clandestino con il marito che usa un dispositivo proibito di comunicazione con l’esterno. Si accenna nel film anche alla condizione di omosessualità, ipotizzata per il personaggio dell’insegnante, ma la cosa non viene più sviluppata.

Il realismo sociale del film pone le basi per una drammaturgia classica, pirandelliana, rashomoniana, sul relativismo della verità. Chi è il padre biologico di Amira? A un certo punto, da quando si scopre la sterilità di Nawar, il film si poggia su questo dilemma, esplorando varie ipotesi. Diventa cruciale il tema dell’identità nazionale palestinese, e in generale araba. La possibilità che nelle proprie vene scorra il sangue del nemico oppressore, diventa un’onta in un contesto bellico perenne. E un’opera fortemente contestualizzata come Amira, assume un respiro classico, una validità universale valida ovunque ci siano conflitti."

(QUINLAN)
 
"Il film ha origine dal crescente fenomeno del contrabbando di sperma nelle carceri israeliane, che, come il film testimonia alla fine, dal 2012 a oggi ha portato alla luce più di cento bambini, la cui nascita e identità sono state poi legittimate da chi li ha cresciuti. A volte, come nel caso di Amira, e per svariati motivi, questo tipo di traffico finisce per creare drammi esistenziali di enorme portata, per cui le persone coinvolte pagano ingiuste ed immeritate conseguenze."
(Taxi Driver)
 
"Amira è l’ultimo film del regista egiziano Mohamed Diab, spesso impegnato nell’esplorazione del mondo identitario nella società egiziana. Con questo film, Diab sposta la mira su una delle realtà che maggiormente incarna queste problematiche, una terra divisa tra Israele e Palestina, ma anche tra sacro e profano, in cui innestare agevolmente ogni possibile riflessione sull’importanza, il ruolo e i limiti della propria identità. Con Amira ci troviamo di fronte a una nuova immacolata concezione? O al frutto di un amore clandestino? O a una violenza interculturale? Per la protagonista dare risposta credibile a queste domande è importante quanto complicato avendo ormai minato profondamente la fiducia che la lega alla sua stessa famiglia" 
(Cinematographe)
 
"

Identità, libertà, onore, riscatto sono i temi caldi e centrali su cui ruota questa storia. Il legame di paternità è solo una sottotraccia per parlare di qualcosa di più grande e universale: la ferocia della guerra che, anche senza l’uso di bombe e fucili, arriva a compiere atti di sfregio disumani.

Amira e sua madre Warda vivono su di loro e dentro di loro il conflitto millenario, un odio radicato in entrambe le trincee, palestinese e israeliana; mossa da vendetta la prima e disperazione la seconda, agiscono nell’ineluttabilità di un destino.

Non c’è un dialogo di troppo, non c’è una sbavatura in questo dramma interpretato con un trasporto e devozione.
Da vedere!"

(Non solo Cinema)
 

 

 

 

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