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LES OGRES

 

VENERDI 27/3

► ore 18.00

 

 

 

Regia: Léa Fehner

Attori: Adèle Haenel - Mona, Marc Barbé - Mr Déloyal, François Fehner - François, Marion Bouvarel - Marion, Inès Fehner - Inès, Lola Dueñas - Lola, Philippe Cataix - Chignol, Christelle Lehallier - Mireille, Thierry de Chaunac - de Chaunac, Nathalie Hauwelle - Krista, Jérôme Bouvet - Pierrot, Simon Poulain - Il giovane, Ibrahima Bah - Joss, Daphné Dumons - La cavalletta, Florian Labriet - Régis, Patrick d'Assumçao - Amante di Marion, Eva Ordonez-Benedetto - Gisèle, Melanie Leray - Marie, Anthony Bajon - Giovane della carovana, Margot Ballay, Cerise Ballay, Lucien Ballay, Adèle Dauriac, Altarik Labriet, Naïm Chigot, Léonie de Chaunac, Capucine Labriet

Sceneggiatura: Léa Fehner, Catherine Paillé, Brigitte Sy

Fotografia: Julien Poupard

Musiche: Philippe Cataix

Montaggio: Julien Chigot

Scenografia: Pascale Consigny

Costumi: Caroline Delannoy, Sylvie Heguiaphal

Durata: 144'

Colore: C

Genere: COMMEDIA

Specifiche tecniche: SCOPE, DCP (1:2.35 LETTERBOX IN 1.85)

Produzione: BUS FILMS, IN CO-PRODUZIONE CON FRANCE 3 CINÉMA, IN ASSOCIAZIONE CON PYRAMIDE, INDÉFILMS 3

Distribuzione: CINECLUB INTERNAZIONALE (2017)

Vietato 14

 

La vivace compagnia del Davaï Theìâtre gira di città in città, con appresso il loro tendone, mettendo in scena Cechov. Tutti loro portano sogno e disordine: sono orchi, giganti, e hanno mangiato teatro e chilometri. Una turbolenta tribù di artisti in cui lavoro, legami familiari, amore e amicizia si mescolano con veemenza, scavalcando i confini tra la finzione del palcoscenico e la vita reale. Tuttavia, l'arrivo improvviso di un bambino e il ritorno di una ex amante farà riaprire ferite che essi credevano oramai dimenticate. Ma la festa avrà inizio...

 

"MESCOLANDO AUTOBIOGRAFIA E FINZIONE, L'OPERA SECONDA DI LÉA FEHNER RACCONTA IL TEATRO PER CELEBRARE,

IN REALTÀ, LE POSSIBILITÀ DEL CINEMA.."

(mymovies)

 

Forse solo in Francia è possibile concepire e realizzare un film in cui acceso vitalismo e malinconia esistenziale, joie de vivre e mal de vivre, passione e miseria siano a tal punto interconnessi da generare un amalgama omogeneo in cui tutti gli elementi non sussistono di per sé ma solo in relazione con gli altri. A ogni modo è ciò che accade in Les Ogres, scritto e diretto dalla giovane regista Léa Fehner, vincitore del Premio del Pubblico alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro.Forse solo in Francia è possibile concepire e realizzare un film in cui acceso vitalismo e malinconia esistenziale, joie de vivre e mal de vivre, passione e miseria siano a tal punto interconnessi da generare un amalgama omogeneo in cui tutti gli elementi non sussistono di per sé ma solo in relazione con gli altri. A ogni modo è ciò che accade in Les Ogres, scritto e diretto dalla giovane regista Léa Fehner, vincitore del Premio del Pubblico alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro.
Partendo da suggestioni autobiografiche, la giovane regista francese narra le peripezie di una compagnia teatrale che gira da un angolo all’altro della Francia per mettere in scena uno spettacolo di Čechov. La vita di per sé già irregolare degli attori, che vivono un po’ come una famiglia allargata dove ognuno sa tutto di tutti, subisce nuovi scossoni con l’arrivo dell’ex amante del regista, che scatena vecchi rancori e porta a galla rimorsi mai sopiti. A tutto questo, si aggiungono la gravidanza di una giovane attrice e i turbamenti esistenziali del primo attore, padre del nascituro. La tournée diviene dunque occasione privilegiata per un rimescolamento delle carte, per tracciare il bilancio di una vita bizzarra riempita dalle mille sfaccettature del teatro, punto di non ritorno per un nuovo inizio, con i suoi addii e le sue affascinanti novità.
I referenti possono essere tanti, dal Fellini de La Strada e di 8 e ½, al Truffaut corale di Effetto Notte, al Peter Bogdanovich dello spassosissimo Rumori fuori scena, ma in realtà la Fehner dimostra già uno sguardo personale, sicuro, corroborato da uno stile immediato e asciutto che aderisce ai volti degli attori senza dimenticare il contesto. Anche un bell’esempio di come si possa, infine, rendere omaggio al teatro e riflettere su di esso tramite il cinema senza rinunciare ai mezzi che del cinema sono propri. Due ore e venti sono oggettivamente lunghe - si poteva tagliare qualcosa, - ma questi Orchi d’Oltralpe, malinconici, rissosi, immusoniti, irrimediabilmente “francesi” ed eterni gitani della vita, sono la migliore testimonianza di come si possa, ancora e soprattutto oggi, coniugare le ragioni dell’arte (e della riflessione sull’arte) con quelle dell’intrattenimento intelligente, secondo la lezione migliore della Nouvelle Vague.

('Gianfranco Iacono')

 

"Concepito come una torrenziale full immersion in questo mondo parallelo, 'Les ogres' ('Gli orchi') ci porta nel cuore di una delle ultime utopie possibili. Il teatro, quel tipo di teatro, visto come un modo per vivere senza integrarsi nella società e insieme per non rinnegarla del tutto, lavorando sui suoi punti nevralgici con gli strumenti dello spettacolo. Nessuna utopia però è senza rischi, e per rifiutare le regole borghesi questi girovaghi eternamente su di giri che discutono sempre ogni cosa tutti insieme appassionatamente, affrontano problemi personali giganteschi. Anche se naturalmente nulla può essere davvero personale, tutto finisce in piazza, anzi in scena. (...) Tutto genera discussioni interminabili, a volte violente ma sempre imprevedibili e alla lunga anche molto emozionanti. Perché dietro tutto quel chiasso, in scena e dietro le quinte, quelle sparate, quelle dichiarazioni di principio, palpita ostinata e irragionevole quella cosa informe e un po' sporca che da sempre cerchiamo di rinchiudere dentro pagine, palcoscenici e schermi, come le vacche che un giorno invadono l'accampamento. Insomma, la vita." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 26 gennaio 2017)"Concepito come una torrenziale full immersion in questo mondo parallelo, 'Les ogres' ('Gli orchi') ci porta nel cuore di una delle ultime utopie possibili. Il teatro, quel tipo di teatro, visto come un modo per vivere senza integrarsi nella società e insieme per non rinnegarla del tutto, lavorando sui suoi punti nevralgici con gli strumenti dello spettacolo. Nessuna utopia però è senza rischi, e per rifiutare le regole borghesi questi girovaghi eternamente su di giri che discutono sempre ogni cosa tutti insieme appassionatamente, affrontano problemi personali giganteschi. Anche se naturalmente nulla può essere davvero personale, tutto finisce in piazza, anzi in scena. (...) Tutto genera discussioni interminabili, a volte violente ma sempre imprevedibili e alla lunga anche molto emozionanti. Perché dietro tutto quel chiasso, in scena e dietro le quinte, quelle sparate, quelle dichiarazioni di principio, palpita ostinata e irragionevole quella cosa informe e un po' sporca che da sempre cerchiamo di rinchiudere dentro pagine, palcoscenici e schermi, come le vacche che un giorno invadono l'accampamento. Insomma, la vita."

('Il Messaggero')


"L'antica faccenda di vita e arte che si confondono è al centro dei legami tra i membri della compagnia teatrale itinerante, al tempo stesso famiglia nomade, impegnata nel replicare una rielaborazione cechoviana un po' zingara e un po' circense mentre divampano passioni e delusioni, recriminazioni e vendette. (...) realtà e scena vivono in simbiosi.."

('La Repubblica)


"Malinconico e riottoso, bohémien e scanzonato, il film mette in scena gli immaginifici orchi del titolo, senza dimenticare il primo ingrediente della finzione: la vita. Stranamente poco fighetta nonostante la formazione a La Fémis, la Fehner prende dalla propria biografia e, anche gli attori, dalla propria famiglia, e con qualche originalità segue la strada già percorsa da illustri cineasti, su tutti il nostro Fellini."

('Il Fatto Quotidiano')


"Con la cinepresa immersa nel caos insolente, allegro, disturbante e insieme rivelatore della compagnia di teatro viaggiante Fehner (...) fa il diario di una messinscena (...) e di una tournée come diagnosi a cuore aperto di una cultura zingara (...). A rischio, a volte, di esibire l'anarchia dell'artista come valore fondante, con ritmo e sane scelte di montaggio riesce invece a scuotere lo sguardo composto e perbene della norma, non solo al cinema. Notevoli i faccia a faccia d'amore. Il cast si gioca la vita, con scarsa protezione della finzione. Una sorta di 'All That Jazz' circense, dove però la 'scena' della famiglia è sia l'incubo che la cura." ('Nazione-Carlino-Giorno')

 

 

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