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PIAZZA VITTORIO

 

SABATO 29/09 
► ore 18.30 

DOMENICA 30/09 
►  * ore 21.00 *
*In sala il regista 
Abel Ferrara*

 

PRIMA VISIONE ESCLUSIVA

 

 

 

Regia: Abel Ferrara
Attori: Willem Dafoe, Matteo Garrone, Abel Ferrara
Fotografia: Tommaso Borgstrom
Montaggio: Fabio Nunziata

 

Piazza Vittorio è la più estesa piazza romana. Si contraddistingue, la piazza ed i quartieri adiacenti dell'Esquilino, per la varietà multietnica dei propri abitanti. Troviamo infatti un insieme di etnie vicine e lontane: romani, asiatici, nordafricani, indiani che rendono la piazza ed il quartiere vivace ma allo stesso tempo di difficile gestione. Proprio per la sua natura unica e variopinta è la residenza di molti artisti e personalità legate anche al mondo del cinema. Uno di questi è il maestro Abel Ferrara, che ha deciso di raccontare questo mondo con la sua visione indipendente e poetica da lui espressa. Ne viene fuori una giornata surreale e neorealista con interviste a clandestini, immigrati, clochard, artisti, proprietari di attività commerciali e politici che danno la loro personale testimonianza. Non è solo il racconto di una piazza ma il racconto di un'Italia che cambia e che cerca a tutti i costi la strada dell'integrazione.

 

 

 

"Sede di un mercato storico della Capitale, Piazza Vittorio è oggi l'emblema di un'integrazione interetnica problematica ma possibile, in una posizione centralissima, tra palazzi storici affascinanti e l'inurbamento di una popolazione così multirazziale da ricordare a tratti a quella newyorkese. Con troupe ai minimi termini, Abel Ferrara intervista per strada residenti di lungo e breve corso, commercianti, homeless e migranti che transitano o bivaccano nei dintorni. In arrivo da Nigeria, Afghanistan, Burkina Faso, Guinea, Bosnia, Perù, Bangladesh, Moldavia, dalla badante al griot (cantastorie africano), dal macellaio egiziano alla ristoratrice cinese al lavoratore a giornata sudamericano. Più due intervistati "vip", entrambi entusiasti della contaminazione culturale del quartiere e della pax raggiunta nella compresenza di tanti gruppi e indigenti: Matteo Garrone, che si è trasferito in zona a fine anni Novanta per ambientarvi poco dopo il suo Estate romana, e Willem Defoe, naturalizzato romano dopo essersi sposato in Italia con la regista Giada Colagrande.

Tra partitelle di calcio, commenti dalle panchine degli anziani italiani, musicisti di strada e un'inaspettata visita con annessa illustrazione teorica da parte di alcuni militanti di CasaPound, si accumulano le voci del "paese reale" - alcuni bozzetti di colore, altri confusi frammenti biografici, tra pareri favorevoli e contrari all'integrazione, la constatazione di un senso di ospitalità tutto italiano e al tempo stesso di un razzismo esplicito.

D'altro canto, alcune inedite immagini provenienti dagli archivi dell'Istituto Luce ricordano come la piazza sia stata abbandonata a se stessa e all'incuria dalla municipalità anche in passato, non solo oggi, a smontare le lamentazioni sul degrado attuale.

Sulla scia di Napoli Napoli Napoli e Pasolini, Ferrara prova a raccontare delle realtà socioculturali distanti da quelle in cui si è formato. Nato nel Bronx da genitori immigrati dalla provincia di Sarno, qui si dichiara egli stesso come "immigrato" alle persone che intervista. Il suo sguardo conserva come sempre l'empatia con gli ultimi della Terra, con il nonsense delirante di chi in strada ha la sua unica possibilità di redenzione e anche la curiosità e l'affinità del dropout privo di pregiudizi. Il risultato è una galleria di personaggi, esempi di disperata emarginazione ma anche di faticosa affermazione, selezionati secondo questa predilezione. Più interessante l'accostamento dei due brani musicali che ripetono il dualismo Stati Uniti/Italia che innerva il documentario: Do Re Mi di Woody Guthrie, che già negli anni Sessanta chiariva come per migrare evitando respingimento o sfruttamento serva il denaro e un classico tradizionale capitolino, melodico e consolatorio come Chitarra romana (nella doppia versione di Claudio Villa e di Gabriella Ferri). Fuori Concorso alla Mostra di Venezia 2017." ('mymovies')

 

"Piazza Vittorio, il quartiere più multietnico di Roma, nel quale il regista italo-americano vive da anni con la compagna e la figlia. Ancora una questione personale, in fondo. E non può essere altrimenti per un autore che ha da sempre legato le sue sorti al cinema, facendone ogni volta una questione di vita o di morte. We’re dying here! urlava Ferrara ai tempi della travagliata lavorazione di Mary. Mentre oggi è attraverso il cinema che proclama la sua sopravvivenza (a Parigi), arrivando a Piazza Vittorio a definirsi un immigrato extracomunitario in lotta per la vita, in uno dei tanti momenti in cui sembra voler far saltare la struttura da documentario tradizionale che ha predisposto. Perché nonostante il film sia impostato soprattutto sulle interviste, quello che cerca Ferrara è ancora una volta un punto di contatto, un dialogo che possa suturare le esperienze alla ricerca di una radice comune che riguarda il senso di appartenenza al quartiere e al mondo. Anche a costo di “sporcare” la ripresa, contaminarla con la propria presenza e con il proprio slang newyorchese.

L’aspetto chiave di Piazza Vittorio è proprio questo filmare continuamente lo scavalcamento di campo, il passaggio di quella linea invisibile che separa chi riprende da chi è ripreso. Ferrara interviene, parla di sé e della propria esperienza personale, da indicazioni agli intervistati, arriva persino a mostrare una vera e propria contrattazione con un ragazzo africano, pagato 15 euro per fare l’intervista. E anche la macchina-cinema entra in campo con i tecnici del suono e soprattutto con gli operatori di ripresa, colti nel posizionamento che anticipa l’inquadratura successiva. Approccio, questo, intimamente politico (ben più di una qualsiasi sterile polemica sulla presunta legittimazione di Casa Pound…) che rivendica l’assenza di frontiere nel cinema così come nel mondo. Senza gerarchie né ruoli dominanti.

A Piazza Vittorio sono tutti stranieri. Lo sono i richiedenti asilo afgani e africani che piazza-vittoriovivono in piazza, i musicisti di strada, i clochard, i peruviani, i boliviani e gli ecuadoriani che si ritrovano al Parco del Colle Oppio per festeggiare la festa del sole. Lo sono i cinesi, proprietari di bar e ristoranti. E ancora i tanti italiani del Nord, del centro e del Sud emigrati a Roma per lavoro o per amore della città. Stranieri sono anche Willem Dafoe, da tanti anni residente a Piazza Vittorio con la moglie Giada Colagrande, conosciuta durante le riprese de Le avventure acquatiche di Steve Zizou, e Cristina, la compagna di Ferrara, emigrata a Roma dalla Moldavia insieme con la madre e la sorella. E lo è persino Matteo Garrone, che da romano dei Parioli si definisce immigrato nel quartiere. Dall’altra parte ci sono quelli del centro sociale di estrema destra Casa Pound, gli unici a rivendicare ridicole e contraddittorie posizioni identitarie, subito sconfessate dalle immagini e dalle testimonianze. Perché Ferrara non ha certo bisogno d’incalzare i propri interlocutori per far passare il suo punto di vista. Basta un semplice raccordo a dire più di mille parole. Solo chi non sa leggere tra le immagini può fraintendere un discorso così chiaro…

Eppure Ferrara non ha paura di sporcarsi le mani e di affrontare anche gli aspetti più controversi. Emerge in filigrana il racconto di un quartiere/mondo in difficoltà per la crisi economica e sociale, e che proprio per questo fatica a stare insieme. C’è chi rimpiange i vecchi tempi andati, quando Piazza Vittorio ospitava uno dei più importanti mercati della città. Chi si lamenta della sporcizia, della confusione, del degrado (anche se poi le immagini di repertorio ridimensionano certe visioni idilliache del passato). E chi, come un signore senegalese, prova a smarcarsi dai nuovi flussi migratori, contrapponendo se stesso e la propria esperienza da quella delle nuove generazioni di africani, incapaci a suo dire di integrarsi nel tessuto culturale del paese. In questo senso il film rappresenta un importante documento storico sulla confusione, lo smarrimento che viviamo nell’epoca attuale. Epoca che trova delle segrete corrispondenze con la crisi del Ventinove, evocata da Ferrara attraverso le parole di Do Re Mi di Woody Guthrie che canta degli americani del Sud, dell’Oklahoma, del Kansas, della Georgia o del Tennessee che sognavano di trasferirsi in California, vista come una sorta di giardino dell’eden. E allora tra set e immagini d’archivio, suggestioni e rimandi di ogni tipo, emerge la questione centrale del film: chi può dirsi davvero cittadino di un quartiere, di una città, di un paese? Attraverso tante scene di banale vita quotidiana – che solo un animale da set come Ferrara è capace di trasformare in schegge di cinema purissimo – si fa strada la visione profondamente umanista del film. Non importa dove tu viva, nei parchi, nei vicoli, sotto i portici o in una confortevole casa borghese. E non importa neanche da dove tu provenga. La sola cosa che conta davvero è la battaglia personale che tutti conducono nel proprio incerto e precario stare al mondo. (Staying) Alive in Italy." ('Sentieri Selvaggi')

 

"Una Roma piena di cuore e dove l'emigrazione, odiata, tollerata o compresa che sia, alla fine
diventa romana, coglie lo spirito di una capitale che ne ha viste troppe e, alla fine, non si scompone mai. La "Piazza Vittorio" di Abel Ferrara, già Fuori Concorso alla 74a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia e che sarà presentata dal regista de "Il cattivo tenente" all'Apollo 11 di Roma il 31 maggio, è una piazza del mondo, un luogo dove le etnie si mescolano tra loro senza darsi troppo fastidio. Come dice appunto uno dei tanti intervistati, un macellaio egiziano, che ormai si sente romano e ne è anche molto orgoglioso.
Incipit straordinario con un'anziana signora romana che esprime la sua rivolta agli immigrati dicendo la sua:«Ve ne dovete andà! Avete rovinato l'Italia».

E poi le tante voci degli immigrati: africani, cinesi, sud americani e slavi. C'è chi si lamenta, chi dice che comunque vuole restare qua e da quasi tutti un inno alla cucina italiana. Un enorme mappamondo che esce a forza da uno dei tanti portoni affacciati sulla piazza, immagini di repertorio dell'Istituto Luce sulla realtà del mercato quando era all'aperto e poi tante testimonianze. Quella di Matteo Garrone che vive lì da poco meno di venti anni perché «è un modo di vivere all'estero», quella di Willem Dafoe che ha sposato il quartiere dopo aver raggiunto la moglie Giada Colagrande.

Certo c'è anche chi l'emigrazione la vede come «una grande sostituzione», sono quelli di Casa Pound che proprio vicino alla piazza hanno la loro sede, un'isola di italianità ostentata con all'intorno la Babele di un mondo senza confini. E poi nel bel documentario di Ferrara tanta musica, da quella africana a quella andina fino a Gabriella Ferri. Come non ha senso «parlare in generale di "americani", così esistono mille aspetti degli italiani e di Roma. Io racconto la città che vivo io, nel quartiere Esquilino, che è al tempo stesso multiculturale e piena di contraddizioni» dice Ferrara" ('Il Messaggero')

 

"Ferrara non dà giudizi (sente i militanti di CasaPound, che ha sede dentro un palazzo di Piazza Vittorio, così come sente Matteo Garrone, che qui abita). Scova i limiti (le innegabili tensioni) e i pregi (gli innegabili stimoli) del multiculturalismo. Lo fa con spontaneità, realismo e onestà. Promosso, Maestro." ('Il Giornale')

 

 

 

  

 

 

  

 

 

 

 

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